A Lazio – Urbanistica ed edilizia – Edificio crollato per eventi bellici e diniego illegittimo di permesso di costruire
Il Collegio rileva che la questione dirimente al suo esame riguarda la corretta interpretazione del combinato disposto tra l’art. 3, comma 1, lett. d), d.p.r. n. 380/01 e l’art. 4 l.r. Lazio n. 21/2009, se possibile in primo luogo e in che termini.
Ebbene, tali norme sono così configurate:
- l’art. 3, comma 1, lett. d), d.p.r. cit. pone la definizione di “ristrutturazione edilizia” come: “…gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza…”;
-l’art. 4, comma 1, l. r. Lazio n. 21/2009 stabilisce che “In deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali vigenti o adottati nonché nei comuni sprovvisti di tali strumenti, sono consentiti, con esclusione degli edifici ricadenti nelle zone C di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968 realizzati da meno di venti anni e previa acquisizione del titolo abilitativo di cui all'articolo 6, interventi di sostituzione edilizia con demolizione anche parziale e ricostruzione, con ampliamento entro i limiti massimi di seguito riportati della volumetria o della superficie utile esistente, degli edifici di cui all'articolo 2, limitatamente alle seguenti fattispecie…”.
E’ da osservare anche che la l.r. n. 21/2009, secondo la definizione del relativo art. 1, è essenzialmente volta al recupero del patrimonio edilizio, proprio ai fini di riqualificazione e promozione urbana e a tale fine denominata “Piano Casa”.
L’ambito di applicazione è illustrato nel successivo art. 2, comma 1, secondo il quale “Le disposizioni del presente capo si applicano agli interventi di ampliamento, di ristrutturazione, di nuova costruzione e di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione degli edifici di cui agli articoli 3, 3 bis, 3 ter, 3 quater, 4, e 5 per i quali, alla data del 31 dicembre 2013, sussista, alternativamente, una delle seguenti condizioni:
a) siano edifici legittimamente realizzati ed ultimati come definiti dall'articolo 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) e successive modifiche ovvero, se non ultimati, abbiano ottenuto il titolo abilitativo edilizio;
b) siano edifici ultimati per i quali sia stato rilasciato il titolo edilizio in sanatoria ovvero intervenga l’attestazione di avvenuta formazione del silenzio assenso sulla richiesta di concessione edilizia in sanatoria con le modalità di cui all’articolo 6 della legge regionale 8 novembre 2004, n. 12 (Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi) e successive modifiche”.
Le ipotesi di esclusione dall’applicazione della norma sono elencate nei commi 2 e 3, mentre il comma 5 del medesimo art. 2 precisa che “Al fine di attuare la presente legge la consistenza edilizia degli edifici esistenti in termini di superficie o di volume è costituita dai parametri edilizi posti a base del titolo abilitativo; i medesimi parametri devono essere utilizzati per il calcolo della premialità consentita negli articoli 3, 3 bis, 3 ter e 4, mentre il titolo abilitativo di cui all’articolo 6 viene rilasciato in base ai parametri previsti dagli strumenti urbanistici vigenti.”.
Sulla base del dettato normativo, secondo l’osservazione di parte ricorrente, non si rinviene un esplicito riferimento alla necessità di una fisica esistenza dell’immobile oggetto della “sostituzione edilizia” in questione, anche perché palesemente illogica sarebbe la previsione di possibilità di recupero di un immobile assentito ma non ultimato senza che di tale ultimazione si sia data una definizione, se di “rustico” o solo corrispondente all’avvio dei lavori nei termini, agli scavi preliminari o quant’altro.
Proprio la “ratio” della norma rivolta a un “Piano Casa” per gli scopi di cui al richiamato art. 1 l.r. cit. fa propendere l’interprete per l’adeguatezza della definizione di cui alla “ristrutturazione edilizia” c.d. “pesante”, di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), d.p.r. cit. nel testo da ultimo vigente, secondo la definizione della giurisprudenza più aggiornata, secondo la quale, connaturata a tale ristrutturazione, è la riqualificazione del patrimonio edilizio senza ulteriore consumo di suolo, sussumibile nel concetto di ripristino di edifici di cui sia percepibile l’esistenza almeno come “rudere” o con la presenza di resti attestanti la passata presenza dell’edificio e comportanti un impegno di suolo ancora in essere, a prescindere dalla loro capacità di rilevare la consistenza originaria dell’immobile (TAR Toscana, Sez. III, 26.5.20, n. 631).
Il Collegio, pertanto, ritiene di condividere l’interpretazione ancor più recente della giurisprudenza (TAR Campania, Na, Sez. II, 10.1.22, n. 171), secondo la quale la nozione di “ristrutturazione”, vincolante anche per il legislatore regionale, accanto alla originaria e primigenia matrice meramente conservativa (intesa come insieme sistematico di opere sull'esistente volta alla formazione di un corpo edilizio strutturalmente e funzionalmente innovativo), ricomprende al suo interno interventi ben più radicali, quali il ripristino di edifici demoliti o crollati e la demolizione-ricostruzione, i quali devono in generale mantenersi rispettosi unicamente del “volume preesistente”, potendo modificarsi in sede di intervento tutti gli altri elementi identificativi dell’immobile precedente: sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche in aree non urbane o vincolate.
Il legislatore ha espressamente equiparato all’intervento di contestuale demolizione e ricostruzione proprio quello di “ripristino di edifici crollati o demoliti”, accomunati dalla medesima finalità di contenimento del consumo di suolo.
Invero, l’indirizzo tradizionale, secondo cui per aversi ristrutturazione edilizia sarebbe comunque necessaria la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, cioè di un fabbricato dotato di quelle componenti essenziali - murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura - idonee come tali ad assicurargli un minimo di consistenza (così da determinare lo scorrimento nella diversa categoria delle “nuove costruzioni” degli interventi di ricostruzione di “ruderi”, vale a dire residui edilizi inidonei a identificare i connotati essenziali dell'edificio), sembra destinato al superamento, alla luce della inequivocabile equiparazione normativa tra “demolizione e ricostruzione” e “ripristino di edifici crollati e demoliti”, ovviamente purché anche di questi sia rinvenibile traccia ed accertabile l’originaria consistenza con un'indagine tecnica.
Anche il Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare (Sez. VI, 3.10.19, n. 6654) che “…la situazione è cambiata invece a seguito di una ben precisa modifica legislativa, dovuta al d.l. 21 luglio 2013 n.69, e quindi posteriore al provvedimento impugnato, che ha inserito nella lettera d) del comma 1 dell’art. 3 T.U…il riferimento agli interventi “volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione” che quindi ora rientrano nel concetto di ristrutturazione “purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”. Rispetto al regime previgente, quindi, il concetto di ristrutturazione è stato allargato al caso di edificio che più non esiste, di cui però la consistenza originaria si può ricostruire, evidentemente con un’indagine tecnica, ipotesi che la giurisprudenza in precedenza escludeva”.
Come sostiene la ricorrente, pertanto, il concetto di ristrutturazione è stato ritenuto applicabile anche all’edificio che non esiste più, di cui però la consistenza originaria si può ricostruire con un’indagine tecnica.
Nel caso di specie non risulta che il diniego si sia fondato sull’impossibilità di una ricostruzione della consistenza originaria, che ben potrebbe essere attivata, data la presenza di muri ciechi e testimoni di attesa sulle pareti degli edifici adiacenti, non contestata dal Comune, e sulla quale potrebbe calcolarsi la cubatura originaria.
Premesso ciò, il Collegio osserva che è ben possibile interpretare, quindi, in “combinato disposto” la norma di cui all’art. 3, lett. d), cit. con gli artt. 2 e 4 del c.d. “Piano Casa” della Regione Lazio, dato che l’art. 2, comma 1, prevede proprio che “Le disposizioni del presente capo si applicano agli interventi di ampliamento, di ristrutturazione, di nuova costruzione e di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione degli edifici di cui agli articoli 3, 3 bis, 3 ter, 3 quater, 4, e 5…”.
Le condizioni di tale applicazione sono illustrate nello stesso comma 1, il quale non prevede la “fisica esistenza” ma solo l’ultimazione o l’esistenza del titolo anche se l’immobile non risulta ultimato, da intendersi nel senso sopra richiamato.
Pertanto, essendo l’immobile demolito da eventi bellici, deve dedursi che lo stesso non necessitava di assenso in quanto anteriore al 1967 e che è ricostruibile nella sua consistenza con adeguata analisi storico-tecnica.
Alla luce di tali presupposti, pertanto, come osservato dalla ricorrente, non rileva la disposizione richiamata di cui alla Circolare esplicativa regionale di cui alla DGR n. 184/2012, ben disapplicabile e peraltro anteriore alla modifica legislativa, dovuta al d.l. 21 luglio 2013 n.69, come osservato nella su richiamata sentenza del Consiglio di Stato, così come tale interpretazione non comporta alcun dubbio di costituzionalità nel senso prospettato in subordine nel ricorso.
Alla luce di quanto illustrato, quindi, il concetto di “sostituzione edilizia” di cui all’art. 4 l.r. n. 21/2009 ben può integrarsi con quello di “ristrutturazione” di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), d.p.r. n. 380/01 e il ricorso merita accoglimento.
La novità e peculiarità della fattispecie comporta l’eccezionale compensazione delle spese di lite, tranne per quanto riguarda il contributo unificato, da porsi a carico del Comune di Gaeta ai sensi dell’art. 13, comma 6bis.1, d.p.r. n. 115/2002.