C2 Processo – Liquidazione del compenso all’avvocato e parametri forensi
Il ricorso proposto dall’avv. L.C.A. s’appalesa siccome infondato e va rigettato.
Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente denunzia violazione delle norme giuridiche afferenti la liquidazione del compenso per la difesa penale in regime di patrocinio a spese dello Stato con speciale riguardo ai parametri cui il Giudice deve attenersi.
L’impugnante rileva come nel provvedimento impugnato sia stata confermata la correttezza della liquidazione,pari ad Euro 800,00, mentre in dipendenza dei valori tariffari medi,tenuto conto della circostanza che la liquidazione attiene al procedimento penale trattato in appello,la liquidazione non poteva esser inferiore ad Euro 1.440,00.
La critica mossa dall’avv. L.C. prescinde dalla considerazione fattuale che, ratione temporis, il suo compenso deve esser liquidato secondo la disciplina tariffaria posta dall’art 9 Dm 140/2012 in tema di patrocinio a spese dello Stato che integra la norma in art 82 dPR 115/02.
Quindi il Giudice nella liquidazione non può superare i valori medi di tariffa ed anche per la difesa nel procedimento penale il compenso è ridotto alla metà. Dunque,contrariamente a quanto sostenuto in ricorso,la disciplina tariffaria vigente al momento della liquidazione del compenso all’avv. L.C. ,non già, prescriveva che nella quantificazione il Giudice s’attenesse ai valori medi, bensì che la liquidazione non potesse superare i valori medi e la somma così individuata doveva esser dimidiata ex art 9 Dm 140/2012.
Inoltre non va dimenticato che espressamente le indicazioni tariffarie in Dm 140/2012 non sono vincolanti,stante la precisa disposizione in art 1 comma 7 cit. Dm - Cass. sez. 1 n 18167/15 -.
Dunque era dato al Giudice tassare il dovuto anche in misura inferiore ai valori medi e nella specie così appare aver,motivatamente, fatto il Collegio penale della Corte, prima, ed il Presidente, poi, in sede di opposizione.
Dunque non concorre il denunziato vizio di violazione di disposizioni normative. Con il secondo mezzo di impugnazione l’avv. L.C. ha dedotto vizio per carenza di motivazione circa la valutazione necessaria per la quantificazione del compenso in relazione alla specifica opera professionale prestata.
La cesura siccome articolata s’appalesa inammissibile poiché non più prevista dall’attuale formulazione della norma in art 360 n 5 cod. proc. civ., che invece postula esclusivamente l’omesso esame di fatto decisivo e non più la "carenza" di motivazione.
Al rigetto dell’impugnazione segue, ex art 385 cod. proc. civ.,la condanna dell’avv. L.C. alla rifusione in favore dell’Amministrazione della Giustizia delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, tassate in globali Euro 510,00 oltre spese prenotate a debito.
Concorrono in capo al ricorrente le condizioni per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.
Corte di Cassazione, II, ordinanza del 03.05.2018, n. 10501