C6 *Obbligazioni e contratti – Consumo di gas fatturato, mancata prova dell’effettivo consumo, bolletta non pagabile e risarcimento del danno
Con il 1. motivo la ricorrente denunzia «omesso esame circa un fatto decisivo della controversia», in riferimento all'art. 360, 1. co. n. 3, c.p.c.
Con il 2. motivo denunzia violazione dell'art. 1223 c.c., in riferimento all'art. 360, 1. co. n. 3, c.p.c.
Con il 3. motivo denunzia violazione dell'art. 91 c.p.c, in riferimento all'art. 360, 1. co. n. 3, c.p.c.
Il ricorso è inammissibile.
Esso non risulta invero redatto nel rispetto dei requisiti richiesti all'art. 366 c.p.c..
Va anzitutto osservato, con particolare riferimento al 1. motivo, come l'odierna ricorrente si è al riguardo limitata a ribadire la censura già sottoposta al giudice del gravame e dal medesimo espressamente rigettata, in termini a tale stregua di inammissibile contrapposizione della propria tesi agli argomenti dell'impugnata decisione, senza sviluppare argomenti in diritto con i contenuti richiesti dal combinato disposto dell'art. 360, l.co. n. 3, e art. 366, l.co. n. 4, c.p.c, nell'indistinzione di questioni di fatto e di diritto, e con «numerose ripetizioni, tanto da rendere difficoltosa anche soltanto l'individuazione delle questioni poste» (v., in tali termini, Cass., 17/3/2017, n. 7009), sicché quanto dedotto si risolve nella proposizione in realtà di un "non motivo" ( cfr. Cass., 8/7/2016, n. 1274; Cass., 8/7/2014, n. 15475; Cass., 1/10/2012, n. 17318; Cass., 17/1/2012, n. 537 ).
Come da questa Corte ripetutamente affermato, ai sensi dell'art. 366, 1. co. n. 4, c.p.c. i vizi della sentenza impugnata debbono essere a pena di inammissibilità dedotti mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, risultando altrimenti a questa Corte precluso di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione ( v. Cass., 9/5/2017, n. 11211 ).
Va ulteriormente posto in rilievo che il ricorso risulta formulato in violazione dell'art. 366, 1. co. n. 6, c.p.c. atteso che la ricorrente pone a suo fondamento atti o documenti del giudizio di merito [es., l’«atto di citazione del 3/4/2007», la «comparsa di costituzione e risposta del 5/7/2007», il «contratto di utenza gas n. 108902000168», la «sentenza n. 220/12 emessa in data 20/2/2012 e pubblicata il 27/3/2012», l'atto di citazione in appello, la comparsa di costituzione in appello, la «sentenza n. 1393/16 emessa in data 1/2/2016 e pubblicata in data 11/4/2016», la «documentazione in atti», le «letture comunicate periodicamente dal Distributore Enel Rete Gas S.p.a. », le «bollette/fatture dei consumi», le «letture "anomale"», la «lettura del 15/12/2003», le «fatture basate su consumi presuntivi parametrati come se l'utenza fosse quella di un piccolo appartamento», la «lettura del 19/1/2006», la «bolletta/fattura di conguagli n. (omissis...)», la «bolletta/fattura n. (omissis...)», il «verbale di verifica», la «bolletta/fattura n. (omissis...)», le «ulteriori bollette/fatture relative ... ai consumi inerenti i mesi di ottobre, novembre e dicembre 2006>>, la «boi letta/fattura n. (omissis...)»] limitandosi meramente a richiamarli, senza invero debitamente -per la parte d'interesse in questa sede- riprodurli nel ricorso ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti, laddove è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l'esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell'esatta collocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239; Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
A tale stregua, non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare e intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificarne il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 3/8/2003, n. 12444; Cass., 172/1995, n. 1161).
Non sono infatti sufficienti affermazioni -come nel caso-apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).
Va ulteriormente osservato che la ricorrente, nel dolersi della «evidente illogicità del ragionamento operato dal Tribunale di Lecco ed avallato dalla Corte di Appello di Milano», fondato «su di un'asserita indimostratezza dell'effettiva entità dei consumi di cui si richiede il pagamento», richieda in realtà un'inammissibile rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tal fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la confluenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova.
Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni della ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all'art. 366, I.co. n. 6, c.p.c. in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore e un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell'inammissibile pretesa di una lettura dell'assetto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).
Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all'attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire a un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Corte di Cassazione, VI– 3, ordinanza del 02.10.2018, n. 23832
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