P5 *Disponibilità della refurtiva e rapporti tra furto ancora tentato e furto già consumato

- Il ricorso è inammissibile.
- Il primo motivo è inammissibile.
Il discrimen tra fattispecie consumata e fattispecie tentata nel reato di furto è stato individuato dalle Sezioni unite di questa Corte nel conseguimento, anche momentaneo, o meno, in capo all’agente, dell’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo: infatti, premesso che il mancato perfezionamento del possesso della refurtiva in capo all’agente esclude che il reato possa dirsi consumato, detto impossessamento postula "il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’agente", mentre deve essere escluso dalla "concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall’intervento esercitato in continenti a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo", ipotesi, questa, nella quale "la incompiutezza dell’impossessamento osta alla consumazione del reato e circoscrive la condotta delittuosa nell’ambito del tentativo" (Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014, Prevete, Rv. 261186).
I giudici di merito hanno fatto buon governo del principio di diritto richiamato, avendo rilevato che gli imputati avevano conseguito l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva: essi, infatti, si erano impossessati della refurtiva, allontanandosi dal luogo del furto, ed erano stati fermati, ad alcuni chilometri di distanza, da una pattuglia della polizia giudiziaria messa in allarme dagli operanti che, sul luogo del delitto, avevano visto delle persone entrare dell’edificio, senza conoscerne le intenzioni e senza poter intervenire prima dell’arrivo di rinforzi (non potendo escludere, in quel frangente, che i tre fossero armati). A fronte della motivata risposta offerta dalla Corte distrettuale alla censura proposta con il gravame, il ricorrente ripropone la tesi volta a qualificare il fatto quale tentativo, omettendo, tuttavia, di confrontarsi criticamente con i dati probatori rilevati dalle conformi sentenze di merito in ordine all’intervallo di tempo che separò l’allontanamento dall’edificio e l’intervento della pattuglia della polizia giudiziaria, dati che rendono ragione, per un verso, della piena ed effettiva disponibilità della refurtiva conseguita dagli agenti con l’allontanamento dal luogo del fatto e, per altro verso, della evidente fuoriuscita della refurtiva stessa dalla sfera di controllo della persona offesa (e delle forze di polizia): sotto questo profilo, il ricorso risulta del tutto carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849).
- Anche il secondo motivo è inammissibile.
La Corte distrettuale ha escluso la configurabilità della circostanza attenuante invocata rilevando che il danno complessivo causato alla persona offesa è maggiore di 3 mila Euro, a nulla rilevando che la somma di denaro in contanti non sia stata rinvenuta addosso agli imputati, posto che, tenuto conto delle modalità dell’arresto, essi hanno avuto la possibilità di liberarsi delle banconote e di occultarle. Anche sul punto, il ricorso omette di confrontarsi con le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata, sicché il motivo è inammissibile.
- Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 2.000,00.
Corte di Cassazione, V, sentenza del 09.04.2018, n. 15715
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